Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
di Michele Ruol (TerraRossa)
Inventario è una parola che mi è familiare. Ho fatto il magazziniere per molti anni e poi sono passato a fare contabilità industriale. Tant’è che per portare a casa la pagnotta sono costretto a continui inventari.
Ma l’elenco ordinato e suddiviso dei materiali, nel mio caso, avviene trasformando prodotti in codici che l’algoritmo poi divide per categorie merceologiche. Insomma l’inventario con cui ho una certa famigliarità è fatto di merci. Materiali sterili.
Michele Ruol di mestiere fa l’anestesista. E scrive un romanzo in cui uno dei personaggi a un certo punto dice: «non provare niente è una bellissima sensazione». E ha le sue buone ragioni per dirlo. Anestetizzarsi sembra l’unico modo per sopravvivere con due figli che muoiono, entrambi in un incidente d’auto.
Madre e Padre hanno perso Maggiore e Minore. Il dolore è devastante, l’elaborazione difficile. L'esordio di Michele Ruol per Terra Rossa è il racconto di un lutto attraverso 99 oggetti che li mettono di fronte al passato e al vuoto lasciato dai loro figli.
Perché gli oggetti, soprattutto quelli domestici, talvolta eccedono dai loro confini di merce e approdano nei territori degli affetti. Evadono in un campo che resta in bilico, sospeso fra i poli della memoria, della nostalgia e della tensione emotiva.
Intanto passano gli anni, e il dolore è sempre lì, immutato.
Madre, quando pensava alla sua vita, immaginava la foresta distrutta dal fuoco nella stessa notte dell’incidente. Dopo il furore del fuoco si sono salvati solo degli oggetti, preziosi affetti, che ricordano un prima che non tornerà e fanno emergere un dopo fatto unicamente di strazio.
Attraverso le tracce di chi non c’è più impresse negli oggetti e nei silenzi fra le parole, ci viene mostrato che tuttavia, dolorosamente, è possibile trasformare la perdita in rinascita, ma per farlo c’è bisogno di “materia viva”.
Un giorno Madre era tornata a casa con due piante di corbezzolo; Padre le aveva chiesto che cosa significassero. È una cosa che ho imparato studiando le piante pirofite, aveva detto. Prendi una pineta, della macchia mediterranea, un bosco di lecci, quello che vuoi. Sì, c’è qualche corbezzolo, ma sono pochi, sparsi qua e là, soffocati dal resto della vegetazione. Poi scoppia un incendio e non rimane niente. E quindi? Tra i primi a rinascere ci sono i corbezzoli. Le fiamme e la cenere rendono acido il terreno, questo li stimola a buttare nuovi germogli dalle radici. Sotto terra sono ancora vivi. Dopo l’incendio gli alberi che gli toglievano la luce non ci sono più e ora i corbezzoli crescono più rigogliosi di prima.
I novantanove oggetti a cui è affidata la guerra contro l’oblio, la resistenza contro la sofferenza disumana causata dalla morte, sono importanti perché eccedono dal loro essere merce, ma non permettono da soli di superare il dolore. Forse è opportuno partire da questa ammissione di impotenza. Non possono, non possiamo farci niente.
Serve una materia vivente, perché solo la vita sa indicare la via per sopravvivere.
Qual è la cosa che ti fa più paura al mondo? Madre si era trattenuta qualche minuto, poi d’impulso aveva scritto: I pioppi.
Lo schianto contro un incolpevole pioppo era stato la causa dell’incidente che ha incendiato la loro vita.
E solo una pianta può insegnare che si può essere più forti di ogni incendio, di ogni morte.
Ecco una cosa straordinariamente importante: la radice della vita che resiste, sotterranea, con la coscienza di una possibilità.
Anche dopo la devastazione.


