L'isola che c'era
È bella la Piave? È bellissima.
È pericolosa? Può essere pericolosa, a volte.
È meno bella per il fatto di essere pericolosa? Non è meno bella.
La Piave può essere pericolosa ma io la adoro lo stesso. Mi piace soprattutto lì dove la sua linea si arrotonda e le sue dolci curve seducono, ammirarla anche quando le sue acque eccedono allagando gli alvei e allarmando, ma nel contempo creando fertilità e rigogliosa vita, perché quella è la sua natura, quelli sono i suoi spazi. Chi la vorrebbe più “sicura”, dritta come un fucile, costretta tra alti argini, ripulita da ogni vegetazione o addirittura barriera contro vecchi e nuovi stranieri non ama La Piave, madre del nostro territorio, ma adora Il Piave semplice soldato agli ordini dell’uomo e delle sue esigenze.
Il mio nome è il nome di un fratello morto prima che io nascessi. Antonio è annegato proprio in una seducente curva della Piave, un posto bellissimo e maledetto. Lì il letto s'allargava e si divideva in due braccia che si stringevano su un isolotto la cui linea costiera combaciava con quella della sponda del fiume. L'isola sembrava fosse un frammento spezzato o più probabilmente la Piave s'era creata una via isolando un pezzo di riva dalla sponda madre. In quel braccio di fiume la corrente, apparentemente calma, formava piccoli e pericolosi vortici, dei mulinelli quasi invisibili ma che, a quanto sembra, non erano così innocui.
Mia madre, non potendo dimenticare “la disgrazia”, mi aveva categoricamente proibito di andare a fare il bagno nel fiume ma io venivo istintivamente attratto da quell'isola proibita, tanto che orami era un’isola bramata e sognata.
Così assieme ad Alessandro, per me una specie di fratello maggiore pur essendo solo lontani cugini, con una piccola barca presa in prestito dal vecchio zio pescatore, un giorno pensammo di violare il divieto e di solcare verso l'isola. Alessandro mi convinse dicendomi che non avrei fatto nessun bagno, non sarei andato sull'isola a nuoto, ma usando un'imbarcazione e quindi non avrei disobbedito a nessun ordine.
Detto fatto!
L'isola dall'interno sembrava ancora più bella, con quella spiaggia sabbiosa che guardava verso la foce, e con quella vegetazione impenetrabile, fatta della stessa flora che rivestiva la grava del fiume ma inspiegabilmente più densa, come se le piante avessero fatto a gara per guadagnarsi un posto in quel piccolo paradiso che contribuivano a creare.
Probabilmente il desiderio di quel mondo vegetale era solo di allontanarsi da quello animale, che effettivamente lì non c'era. Ad eccezione di qualche volatile difatti c'erano solo piante ed insetti. Questo pensiero insinuò in me il dubbio che anche la mia attrazione per l'isola fosse la stessa delle piante: stare più possibile lontano dal mondo animale, in particolar modo dalla specie animale a cui appartenevo. Le attività dell’homo sapiens attorno allo sfruttamento della “risorsa” acqua provocava sempre più spesso in me una sensazione di vergogna nei confronti del fiume, sentore che condividevo con poche altre creature simili.
Alessandro è una di queste eccezioni, perché è cresciuto ai bordi del fiume che è stato il suo miglior compagno di giochi e di esperienze fin da bambino. Osservandolo intuiva i suoi umori e così presagiva le condizioni climatiche e meteorologiche. Lo aveva imparato dagli insegnamenti del vecchio zio Renzo che batteva la Piave da ben prima di lui e che lì aveva condotto il suo mestiere di pescatore finché ne ha avuto la forza. Il vecchio abitava in una piccola casa di fronte all’isola, circondata da pioppi, salici e acacie, costruita dentro gli argini, e non l'aveva abbandonata nemmeno dopo le numerose piene. Aveva resistito pure all'alluvione del '66 e, nonostante temesse per la sua abitazione ogni volta che soffiava il vento di scirocco, conviveva con questo pericolo consapevole che il rischio con gli anni sarebbe aumentato in maniera esponenziale rispetto a quando, da giovane, aveva scelto di vivere lì. La sua percezione esistenziale, malgrado ciò, era tutt’una con la Piave che per lui era una specie di flusso di coscienza, era l’arteria di tutte le storie che aveva ascoltato fin dalla nascita.
Io condividevo con Alessandro la passione per le storie del fiume che scaturivano dai racconti dello zio Renzo, così tutte le sere d'estate, poco prima di cena, ci davamo appuntamento sulla riva della Piave, dove il vecchio ormeggiava la sua barca, ad ascoltare le sue narrazioni. Ci sdraiavamo a pancia in su, sulle foglie secche mescolate con la sabbia e ne sceglievamo una per passarla al vecchio. Sotto, sopra, attorno a lei, c’erano migliaia e migliaia di altre foglie variopinte, ma dovevamo prenderne una sola, unica, diversa da tutte le altre, come erano diverse e uniche le storie di Renzo. Quella sera ci era capitata in mano una fogliolina di salice.
«Non c'è una ragione speciale perché ho scelto quel giorno e quella stagione per partire se non la fiducia nei miei sensi e negli insegnamenti del fiume. Avevo deciso di percorrerlo con la mia barca a remi fino a dove la Piave vecchia incrocia il taglio del Sile per risalirlo fino a sfociare nella laguna nord, dove visitare le isole semi abbandonate di Torcello e Mazzorbo. Il problema era il tratto da fare remando controcorrente, il mio equipaggiamento doveva essere leggero: uno zaino di tela impermeabile con dentro l'indispensabile ed il resto stava nel cuore e nella testa. Nel tragitto speravo di incontrare quel mondo che vive là appena sotto il livello dell'acqua, le augnane e le elfidi, le ciane, ninfe che, avevo sentito, aspettano il passaggio di qualche viaggiatore o di qualche innamorato per svelare il loro magico mondo. Testimonianze raccontavano di averle intraviste far vibrare col fiato delle loro voci la superficie delle acque che fluivano sotto i salici in prossimità della laguna. Queste fate, che fanno parte dell’immaginario di chi è cresciuto lungo i corsi d’acqua e vivono nelle fonti, nei canali e nei fiumi, mutano la loro abituale benevolenza in ostilità, quando vengono colte da occhi indiscreti. Cantano dolcissime nenie, ma se sorprese spariscono all’ improvviso sciogliendosi nell’acqua. Ora posso dire di essere l'ultimo ad aver ascoltato il loro canto prima che si ritirassero più a nord, verso i monti, dove le acque sono più fresche e i boschi sono più silenziosi». A quel punto il racconto s’interruppe brevemente e nell'umido nascondiglio in fondo agli occhi si formarono delle grosse lacrime che li resero ancora più acquosi «Del resto, qui da noi la Piave ha sempre meno acqua e le sponde sono sempre più invase da costruzioni e rumorose strade che portano verso il mare. La portata d'acqua si è ridotta drasticamente, catturata dalle griglie e dagli imbuti a monte, intubata per scopi idroelettrici, mentre a valle è rubata per l’irrigazione agricola, così il fiume non ha più nemmeno il fluire minimo vitale. Di conseguenza gli arenili a nord della laguna di Venezia sono mangiati dall'erosione a causa dell'innalzamento del livello del mare e della mancata forza delle acque di fiume che prima trasportava detriti e sabbia fino all'Adriatico». Quella sera Renzo ci sembrava più triste del solito mentre, osservando la contro-corrente del fiume, ci raccontava di anguane, elfidi, ciane, ninfe. «Il fiume scorre al contrario e diventa salmastro, il cuneo salino arriva oramai fino da noi e le amiche di cui vi ho raccontato non potranno più tornare» diceva con gli occhi umidi e la pelle bruciata dal sole e da un'aria di scirocco che spingeva fin qui l’acqua di mare, proprio dove non ci dovrebbe stare.
Anche l’isola ha risentito dei cambiamenti del fiume che affliggevano l’umore del vecchio e che desertificano la terra invece di fertilizzarla. Infatti dapprima si ridusse in un accumulo di sabbia senza vegetazione per poi sparire appena sotto il livello dell’acqua. È diventata una secca, un tratto di fondale fluviale poco profondo o notevolmente rialzato rispetto ai fondali vicini, ma invisibile alla vista. Ogni volta che passo da quelle parti guardo inevitabilmente verso la curva del fiume e ripenso a quelle serate, a quando si riusciva a trovare il tempo di perdere tempo, quindi di guadagnarlo. Ore e ore passate ad ascoltare il magico mistero dei racconti di Renzo e a sognare la possibilità di “buen ritiro” nell’isola che c’era.