Lungo la Piave, vecchia e nuova
È possibile un viaggio che si concentri in una manciata di ore?
Che differenza c’è tra una gita e un viaggio?
È possibile un viaggio, e non una gita, che si concentri in una manciata di ore?
Quando a essere in campo non sono le distanze è ancora più chiaro che la differenza tra viaggio e gita sta nell’impegnare tutti i sensi. E anche nell’impegno dei muscoli. Nel mio caso le gambe che pedalano.
Ho voluto mettere alla prova la fiducia nei miei sensi e nei miei muscoli e ho inforcato la mia vecchia bici, compagna di decenni di spostamenti, e ho disceso la Piave nuova per poi risalire attraverso la Piave vecchia. Un triangolo di pianura, ex palude bonificata, che ho voluto percorrere perché ho imparato che a saper guardare qui, dove sono cresciuto, posso ritrovare l’universo mondo e molte altre cose che mi hanno formato.
La Piave sempre in sottofondo, in entrambi i suoi alvei, è qui che da sempre ascolto l’ambient più naturale che c’è, solo i suoni del fiume, la brezza, i cinguettii, lo scorrere dell’acqua.
La pista ciclabile corre vicino alla Piave, troppo vicino, invade lo spazio del fiume, così inevitabilmente si creano delle piccole frane. Mi fermo in un punto di riva franato, fra gli alberi e la melma, per avvicinarmi il più possibile all’acqua. Tornerò a casa infangato, lo so. I colori sono marrone e verde, il verde vivo e marrone pantano di quest’inizio d’estate, dopo una primavera piovosa. L’acqua li comprende entrambi, sia il verde che il marrone.
Fango e terreno umido spesso ci dissuadono dall'andare a fare due passi. Temendo di scivolare o bagnarci i piedi, evitiamo i sentieri melmosi a favore dell'asfalto. Ma invece di trattare il terreno non compatto come un motivo per non camminare, dovremmo fare il contrario e usarlo come una buona ragione per uscire, scegliere il sentiero fradicio al posto di quello asfaltato, e respirare a fondo. È noto che una sostanza chiamata geosmina, derivata da batteri e presente nella terra bagnata, infonde un senso di pace. Siamo profondamente sensibili a questo odore intenso, capaci di individuarne l'equivalente di sette gocce in una piscina. Secondo gli psicologi evolutivi, troviamo l'odore della geosmina tranquillizzante e rassicurante perché avvertiva i nostri lontani antenati della presenza di acqua e suolo fertile.
Sono solo. È l’alba e nessuno vede questo matto immobile vicino all’acqua del fiume, tra gli alberi rimasti, con i piedi nel fango. Sto lì immobile in piedi, lasciando perdere i pensieri, sentendo il respiro che va da solo seguendo la stessa logica senza senso delle maree e del vento. A sentire la forza di gravità, la corrente del fiume e quella del mio sangue, ad ascoltare questa lingua segreta che c’è nelle nostre sensazioni. A percepire il fiume, con una mano appoggiata su un pioppo.
Proseguo verso la foce e la laguna del mort velata da una nebbia leggiera che un tempo era indizio di malaria ma anche di una splendida vegetazione spontanea, di graminacee, di licopodi, di muschi, di licheni e stagni bellissimi coperti di canne giganti che al più mite soffio fanno ondeggiare mollemente i loro pennacchi.
Il mare è lì a due passi, respira calmo, prima di ricevere la chiassosa folla di bagnanti.
Per raggiungere il vecchio corso della Piave devo purtroppo passare lungo quella striscia di litorale chiamata Jesolo, meta incomprensibilmente ambita da vacanzieri esausti da un anno di lavoro, che si trasformano in migranti climatici disposti a tutto pur di conquistarsi un posto sotto un ombrellone esposto al sole, forse vicino al mare, ma sicuramente vicino ad un mare di cemento e asfalto.
Passo velocemente questa zona caotica di traffico e smog per raggiungere il vecchio corso della Piave, ora chiamato Sile per via della congiunzione dei due fiumi realizzata tra il 1680 e il 1684 che aveva il fine di allontanare le acque del Sile dalla laguna portandole verso est e facendole incanalare nel vecchio alveo della Piave all'altezza dell'odierna Caposile attraverso un taglio artificiale che corre lungo la laguna nord.
Qui abbondano i prati arginati fiancheggiati dai salici e ninfee dove fermarsi ad osservare i giochi della fauna acquatica, sperando di non rompere troppo la loro quiete.
Continuo a pedalare per superare la congiunzione tra Piave e Sile e mentre attraverso il secondo ponte su barche della giornata, guardo la chiesa che ho davanti e penso che stare tra gli alberi, davanti al mare, in mezzo a una laguna… ecco, è lì che ritrovo la mia “chiesa”.
Ed ora eccomi al rientro, dopo aver pedalato per una settantina di km, a chiedermi: ho fatto una gita o un viaggio? Non lo so precisamente, ma di certo impegnare i miei sensi, i miei muscoli, in questo tragitto lungo la parte finale di due fiumi, che poi sono lo stesso fiume, mi ha fatto un gran bene!








