Nuda. Come la verità
Immagini, a volte così inflazionate, altre volte così scuotenti.
Siamo così sommersi da immagini che il nostro sguardo spesso ne esce apatico.
Eppure continuiamo compulsivamente a consumare immagini.
Ieri sono stato alla Biennale d’arte all’Arsenale di Venezia e ne sono uscito scombussolato, disorientato. Troppe immagini per la mia capacità ricettiva, con il risultato di produrre quella sensazione che niente mi abbia veramente catturato e scosso, ma contemporaneamente con la consapevolezza che questo effetto è dovuto alla eccessiva stimolazione sensoriale.
Sono fortemente convinto che “Stranieri ovunque” sia una esposizione molto bella e non voglio minimamente discutere su questo ma sul modo in cui l’eccessiva sollecitazione da immagini alla fin fine le depotenzi.
L’ immagine può dire tutto o può non dire niente.
Stamane, appena svegliato, ho visto questo video che gira nei social e ne sono rimasto fortemente colpito. Come quando vidi, da adolescente, l'uomo con le buste della spesa che si mise davanti i carri armati a Pechino.
Una ragazza passeggia svestita nel campus universitario di Teheran dove i guardiani della morale sono severissimi su quello che indossi e addirittura su come lo indossi. Sembra ci avesse avuto un battibecco – con i guardiani - e forse non era il primo. Probabilmente l’hijab non era a modo, forse non ce l'ha fatta più e ha deciso di toglierselo di dosso. Molti dei presenti distolgono lo sguardo, nessuno le si avvicina, qualcuno pensa che sia una pazza che si è svestita. È stata internata in una struttura psichiatrica, perché - dicono le fonti governative ufficiali - presenta seri "problemi psicologici". Alcune associazioni parlano di una protesta, qualcuno dice che sia stata malmenata mentre la arrestavano, Amnesty ne chiede l'immediata liberazione.
Io, anche se è probabile che non saprò mai chi sia, credo che ricorderò a lungo questa ragazza, probabilmente più di ogni immagine vista ieri alla biennale.
L’ immagine, oggi come oggi, può dire tutto o può non dire niente.
Le foto-video-immagini in alcuni casi sono tutto. Sono memoria e traccia e insieme auspicio e speranza, spinta ad agire, a non subirle e basta. E questo nonostante il fatto che siamo invasi da un flusso ininterrotto di immagini che spesso non ci dicono niente.
Il destino delle immagini oggi si gioca tutto fra le due antitetiche modalità d’uso e di relazione. L’immagine che dice tutto e l’immagine che dice niente. Dove il tutto e il niente non stanno mai solo nelle immagini, ma anche e soprattutto nello sguardo, nel contesto di chi le vede, di chi le ha viste, nello sguardo, nel contesto di chi ha visto l’attimo in cui sono state “prese”, prodotte o generate.
Ancora una volta, insomma, il destino delle immagini è nello sguardo. Di chi le ha prodotte e di chi le guarda.
Ed è quel filtro, che sta dietro al nascondiglio umido chiamato occhi, che mi sforzo di usare prima di dare qualsiasi giudizio. Un filtro che troppo spesso è intasato e non fa più il suo mestiere.
Non limitarsi a guardare le immagini, quindi. Le immagini stanno lì nel mezzo. Così lontano, così vicino.
Sono così tutto, e così niente.
A volte così inflazionate. A volte così scuotenti.



Povera ragazza, non voglio pensare che fine avrá fatto. Le eroine esistono.