Ogni tanto ci passo. Ogni volta che percorro in bici o correndo quel tratto di argine lungo la Piave mi fermo a guardarlo. Quanta vita ho passato lì dentro e quant'altra ancora ne avrei voluta passare.
Mi ritorna in mente oggi perché leggo sul Gazzettino che il Comune sta per mettere all’asta un’altra parte del patrimonio pubblico: il piano riguarda tra gli altri anche un terreno che si trova in via Cima 11. Si parla di ex inceneritore, ma non di quello che più ha caratterizzato quel luogo: ovvero il centro sociale occupato (C.S.O. la scritta è ancora lì a ricordarlo). Ma fu contemporaneamente anche centro di accoglienza per immigrati, e fu per alcuni anni senz’altro un luogo anticipatore dei tempi a venire.
Insomma si ricorda più facilmente che in riva al fiume, in un'area di pregio ambientale, si pensò di dare fuoco alla monnezza piuttosto di ricordare che fu uno spazio dove si accesero innovazioni artistiche, politiche e sociali.
Di certo c’è che a San Donà, negli anni Novanta, c’è stato uno di quei posti che erano stati definiti da Le Monde «il fiore all’occhiello della cultura italiana» ed è stato uno spazio importante per molti, anche qui nel basso Piave. Perché ha messo in comunicazione generazioni diverse di militanti, ospitato e aiutato ad avere i documenti molti “sans papier” e cambiato il modo in cui si produceva e si consumava la cultura. Oggi si tende a dimenticare che dai centri sociali sono usciti finalisti al premio Strega e fumettisti scala-classifiche. In quella scena si sono esibite le avanguardie e hanno mosso i primi passi alcuni dei nuovi protagonisti della musica. Sulle tavole dei palchi autocostruiti hanno recitato attori poi assurti sui grandi schermi. Le elaborazioni teoriche che hanno attraversato questi spazi sono diventate nel tempo parte del grande dibattito globale.
Per restare qui da noi a San Donà, al centro sociale Kaino/Aguaska sono passati, tra gli altri, gli Spiral Tribe e i Mutoid Waste Company, seminali collettivi che hanno dato vita ai primi rave e alla cultura musicale e artistica che da essi derivava. Tant’è che tanti dj che si esibivano da star nel litorale poi venivano a mettere dischi al centro sociale. Udite, udite: venivano gratis! Non ditelo ai gestori dei locali jesolani, grazie. Poi passarono Afrika Unite, Üstmamò, Mau Mau, Tre Allegri ragazzi morti, Freak Antony… per non parlare della nascita della scena hip- hop e rap che con graffitari a seguito cominciava ad esprimersi proprio su quei muri.
Qualche tempo fa mi imbattei in un’intervista ad un questore di una città italiana che rispondeva ad una domanda sui così detti “maranza” e sulla devianza giovanile con un secco: «ci vorrebbero più centri sociali!»
Non so cosa intendeva il questore ma pensai: «Sì, lo credo anch’io»
La nostra esperienza fu sgomberata, mentre stava andando in porto una convenzione col comune, per il cavillo: un piccolo abuso edilizio. Era facilmente prevedibile che quel luogo prima o poi si sarebbe trasformato in un grande abuso edilizio. In pratica dall’ideona di qualche decennio fa, quella di bruciare rifiuti, a quella di bruciare suolo nella golena del Piave il passo è breve. E denuncia che la coscienza ambientale dei nostri politici, negli anni non è progredita per niente.
Così mentre leggevo di questa ennesima speculazione ai piedi dell’argine della Piave, mi è tornato in mente un episodio: la sera c’era lo spettacolo di Freak Antoni, lui arrivò nel pomeriggio con la moglie. Si sedettero con noi nella panca fuori dal centro sociale e mentre chiacchieravamo dei pochi accorgimenti tecnici dello spettacolo lui si voltò verso il tavolo vicino a noi dove altri giovani stavano fumando qualche spinello e domandò: “cari, potete spostarvi più in là, mia moglie è incinta”. E aggiunse: “Ve lo chiedo anche se so che a volte il fumo è molto meglio dell’arrosto”.
Era una delle battute di uno spettacolo che ricordo benissimo ancora oggi e, stranamente, anche dentro al centro sociale non ci fu traccia di fumo... praticamente un miracolo per l’epoca.
Erano piccoli, grandi miracoli, che accadevano in uno spazio liberato.