Sexto ‘Nplugged ha fatto 20 anni. Ed è ormai una irrinunciabile consuetudine, non mi sono mai perso una edizione. Almeno un paio di concerti del festival all’anno mi prometto di andare a vederli.
Cosa c’è di così determinante per me in questo festival?
Prima di tutto il luogo, ed il luogo è il sagrato dell’abbazia di Santa Maria, a Sesto al Reghena (PN), location splendida, che è un valore aggiunto.
E poi c’è la scelta della line up: sempre molto intrigante. Ho imparato a fidarmi dei nomi scelti, anche quando non li conosco. Del Sexto ‘Nplugged mi fido, anzi mi attendo qualcosa in più. E cosa attendo? Attendo qualche sorpresa, un piccolo scarto dal conosciuto. Attendo qualcosa che non m’attendo.
Quest’anno, diversamente dalle scorse edizioni, conoscevo tutti gli artisti che si sono esibiti sul palco. E dirò di più: hanno fatto parte dei miei ascolti in maniera significativa.
Mi sono giocato l’effetto sorpresa? Direi di no.
La sorpresa è sempre un fattore di rischio, perché può essere gradita o meno, ma ho sempre pensato che sia meglio andare incontro all’imprevisto che essere incanalati nei sentieri segnalati che portano a mete conosciute e prestabilite. Mi è sempre piaciuto abbandonare le rette e sicure vie per seguire le contorte e oscure mappe disegnate dal suono.
Quindi? Veniamo al dunque: sono stato a vedere i Black Country, New Road, una band che ho amato molto, però mi sono fermato all’ascolto dei primi due album del gruppo, quelli con Isaac Wood alla voce, poi senza un vero perché, li ho abbandonati. E questo è il motivo della mia sorpresa: sono andato per vedere i Black Country, New Road e mi son ritrovato ad ascoltare i Fairport Convention in versione chamber-prog. La band di Cambridge la ricordavo come fautrice di un nuovo modo di suonare il post punk, come se il post punk lo suonassero i Godspeed You! Black Emperor. Al massimo esisteva una discrasia, piuttosto originale, tra l'umore sommesso e quasi dark del cantante e i colori più luminosi degli arrangiamenti. Con un organico capace di maneggiare di tutto: mandolino, flauto tenore, violino, sassofono e clarinetto, pianoforte, harmonium, fisarmonica, chitarra baritona e lap steel, banjo, clavicembalo. Sapevano essere stranianti.
Dal vivo questa peculiarità di abili strumentisti è veramente una goduria. Su tutto questo svettano poi le angeliche voci delle tre musiciste del gruppo. Io, che mi ero affezionato alla vocalità di Isaac Wood, devo dire che all’inizio mi sono sentito un po’ perso. Ma, come dicevo, meglio perdersi che trovarsi nell'assodato. Senza dubbio le loro vecchie sonorità sono più nelle mie corde però l’esibizione devo dire che è stata coinvolgente. Una band che oggi penso sia più convincente nell’esibizione dal vivo che durante l’ascolto su disco. Poco male, sono qui per vedere un concerto, e mi è piaciuto molto.
Comunque sia, appena rientrato a casa, ho messo sul piatto il vinile scricchiolante di “Liege & Lief” dei Fairport Convention, disco consumato nelle mie estati adolescenziali. Una riascolto inaspettato, che non capitava da decenni.
Anche queste sono piccole magie innescate da una esibizione live.
Il concerto di Anna Von Hausswolff, il giorno dopo, invece mi ha provocato un altro tipo di stupore. Perché è un'artista che nell’ascolto casalingo dei suoi dischi rapisce con un'intimità primordiale, che unisce un senso di angosciata spiritualità con litanie ed echi dark. Una musica infarcita di simbolismi, una specie di sound alla Dead Can Dance con la “drone music” all’interno. E la malinconica voce di Anna che sembra urlarti dentro, con una specie di grido trattenuto. Una musica adatta ad un ascolto solitario.
Nel concerto invece la sua voce da sola sembra in grado di squarciare il cielo da un momento all'altro, urla, dentro e fuori. Ti travolge assieme dalla grandiosità imponente e viscerale della sua musica, che sembra rapire lei per prima. Con un’energia inaspettata Anna si scuote sopra ai synth accompagnata da un sassofono e da una poderosa sezione ritmica che si muove attraverso il mormorio di basso, suonato talvolta con l'arco, e si trasforma in un tumulto ipnotico quando s'inserisce la batteria.
Non mancano i momenti di toccante intimità, come la canzone dedicata da Anna alla madre, che riporta le sonorità in ambito più intimista.
Che ti urli dentro, come fa nei dischi, o che ti sorprenda, come in questo live, trasformando la sua voce in un urlo che squarcia contemporaneamente il dentro e il fuori, lo fa andando sempre al cuore pulsante della cosa: la parte più profonda e oscura dell'animo umano.
Creando momenti di pura energia estatica.
Due concerti, due stupori diversi, in un festival che dopo vent’anni sorprende ancora.
***************
foto di Davide Carrer
***************
Ps) una nota di merito va ai due gruppi che hanno aperto i due live: A Flower Tide e The Hunting Dogs