Stare in un limbo
durante la visione di "Nonostante" e “Mar de Molada”
Sono comparso sul grande schermo. Improvvisamente, in primo piano.
Stavo assistendo alla visione del film “Mar de Molada” di Marco Segato, un documentario sull'omonima serie di quattro spettacoli campestri e itineranti di Marco Paolini e inaspettatamente ho visto inquadrato, in primo piano, un volto familiare che mi ha stranito. Sono rimasto fermo a bocca aperta in una specie di limbo, colpito dal perturbante mistero dello stare a cavallo dell’aldiquà e dell’aldilà dello schermo. Poi ho sentito una mano stringermi forte il braccio e in un batter d'occhi, nel momento in cui la palpebra copre l'iride ed oscura la pupilla, sono uscito da quel limbo. Ho chiesto a Nadia: «Cosa è successo?».
«Sei comparso sul grande schermo, in primo piano»
Ora che ci ripenso, per qualche istante, davvero, ho avuto la sensazione di vedermi in un’altra dimensione. No, non è come vedersi in un video del telefonino, o in uno specchio, il cinema è sempre in un’altra dimensione, e non solo per la misura dello schermo. Almeno per me è così.
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In un’altra dimensione stanno anche i corpi in coma di un altro film che ho appena visto: “Nonostante” di Valerio Mastrandrea. Nelle corsie di un ospedale, nell’incerto confine tra la vita e la morte.
Né qui né là. Come sospesi. Immobili nei letti di un ospedale, ma qualcosa di loro – “qualcosa” che ha le loro stesse sembianze, è incorporeo ed invisibile ai personaggi “vivi” del film ma visibile a noi spettatori e a quelli che si trovano nella loro stessa condizione – si aggira inquieto dentro e fuori l’ospedale.
Poi nel film c’è uno strano personaggio che fa il volontario e si esibisce cantando per i pazienti in coma. Ed è l’unico che può comunicare con loro, riesce a vedere quel “qualcosa” che sta in un’altra dimensione. Praticamente ha le stesse facoltà di noi spettatori.
Il film racconta un amore che nasce mentre la vita se ne va. Qualcosa che succede in quel mondo parallelo, un mondo incorporeo, mentre lì accanto la morte è al lavoro nei corpi. Non hanno corpo, ma si abbracciano. Perché si ritrovano a condividere la medesima condizione di sopravvivenza in una zona d’ombra. In un limbo.
E questo rammenta la condizione di molte persone che nel reale subiscono la così detta “guerra a pezzi”. Anche loro in quello spazio sospeso tra la vita e la morte. Però quello è un limbo devastante. E imperdonabile è chi lo impone.
Perché ci sono molti tipi di limbo.
Andare al cinema in fondo non è che un modo per perdersi in un’altra dimensione. In quel gioco di ombre e luci proiettate nel buio che debordano continuamente.
Ebbene sì, in fondo non è che un altro modo di “stare in un limbo”.
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ps) con l’ombra della morte imminente che li sovrasta, nella colonna sonora risuonano le note di "Noi non ci saremo" eseguita dai C.S.I.


