La scorsa settimana mi era capitato di leggere, su Internazionale, un interessante articolo del quotidiano francese Libération a proposito dei festival musicali che si intitolava “La misura giusta”. Iniziava così:
Spesso sentiamo dire che i festival musicali sono in pessima salute. In un contesto fatto di costi sempre più alti (per la sicurezza, per gli ingaggi dei grandi nomi) e disimpegno delle amministrazioni pubbliche, la formula de i grandi festival è un’equazione con un’incognita: il loro futuro. Il calo del fascino che i festival esercitano sui giovani e la concorrenza dei mega-show negli stadi pesano sull’avvenire di questa forma d’intrattenimento. Ma esiste un altro modello, più intimista e meno industriale, che sembra immune a questa deriva: quello dei microfestival, che favoriscono l’affermazione artistica e professionale dei giovani e rimettono al centro l’esperienza dello spettatore. Nei microfestival si ritrovano tutti gli stili e i generi, dalla musica sperimentale al cantautorato, con programmi di nicchia che attirano un pubblico di conoscitori.
Secondo uno studio del Centre national de la musique, tra i francesi che dichiarano di ascoltare musica abitualmente tre su dieci hanno partecipato a un festival negli ultimi mesi e i microfestival sono stati gli eventi più frequentati.
I festival pagano senz’altro il fatto di essersi affidati completamente al mercato, agli sponsor, ai privati che da sempre investono dove si può guadagnare (speculare) meglio. E per ora sembra che il profitto si sia spostato verso i mega-show, le mega star, quelli che riempiono stadi… spremeranno il limone finché gli spettatori saranno disposti a svenarsi, con mesi se non anni di anticipo, per acquistare i biglietti.
Il cosiddetto disimpegno delle amministrazioni pubbliche, oramai conclamato, è funzionale a questo tipo di mercato dei live (vere e proprie speculazioni). Quel poco che rimane dell’investimento pubblico è spesso all’altezza culturale delle stesse amministrazioni, ovvero aggrappato al peggior bastimento mainstream: quello televisivo. Da decenni si tagliano i fondi all’istruzione e alla cultura e si crede che fare cultura “popolare” significhi abbassare il livello culturale al minimo. Il comune in cui vivo ne è la dimostrazione: il programma estivo della cittadina più popolata del basso Piave è “tossico” per chiunque abbia a cuore la propria salute mentale. Alcuni esempi: Alessandro Sallusti, Mario Giordano, Giuseppe Cruciani… in piazza. In definitiva vogliono dirti che non basta tenere spenta la tv per evitare questi loschi personaggi e le loro bassezze indegne.
La nostra città inoltre sembra in preda alla smania di dare spazio ad eventi dedicati al cibo, al mangia e bevi, che lasciano per giorni un diffuso odore di fritto nell’aria, un denso strato di unto a terra, parecchi grassi da smaltire nel corpo, e niente di nutritivo per la mente. Poco male, diranno i più, almeno la città è piena di gente, ma la mancanza di nutrimento per la mente a volte si fa sentire, quanto meno a me manca.
Non sentite anche voi il bisogno di biodiversità culturale per nutrire la vostra mente? O almeno di una ventata d’aria che porti via l’odore di stantio che si respira nella provinciale cittadina in cui viviamo?
Sono convinto che quello che respiriamo, vediamo, ascoltiamo, abbia delle conseguenze. Sulla nostra esistenza e sul luogo in cui viviamo.
I microfestival possono aiutare e hanno un altro pregio spesso dimenticato: possono essere organizzati in maniera autonoma, senza investimenti se non il proprio tempo, e fanno bene anche e soprattutto a chi li fa. È probabilmente la maniera migliore per sopravvivere felicemente nell’inferno del mondo attuale: stare insieme tra creature simili e godersi una pausa. L’amicizia è uno spazio di comunicazione in cui non vige il principio economico, in cui il piacere dell’uno non si distingue dal piacere dell’altro. È cosa rara e preziosa. Perché? Perché solo l’empatia dei corpi che si incontrano fa intravedere qualche spiraglio di speranza. E di amicizia.
Lo so, oggi la speranza e l’amicizia non vanno di moda, e ci sono moltissimi motivi per questo loro essere demodé, uno di questi è il ritmo ansiogeno imposto oggi alle nostre vite. La vita s’assapora soprattutto nelle pause. Sempre più rare, sempre più brevi.
“Pausa” credo sia la parola chiave dei nostri tempi: pausa dall'armamentario della guerra, dall’inquinamento ambientale e cognitivo e dalla paranoia produttivista e consumista.
Se vogliamo salvare il mondo prendiamoci una pausa.
Ecco perché quando Marco Dianese mi ha chiesto se volevo aiutarlo ad organizzare un microfestival nel basso Piave ho accettato subito.
Il festival si chiama DAYMOON FEST e si terrà il 6 settembre, dalle 12:00 alle 23:00, al Chiosco Clandestino, Parco Vittoria a Musile di Piave, Venezia.
DAYMOON FEST è una pausa.
Un momento per riconnettersi con ciò che conta davvero.
Uno spazio di movimento, creatività e rinnovamento condiviso—per seminare insieme un mondo migliore.
Insomma se cercate una pausa contro il logorio della vita moderna segnatevi questo appuntamento:
DAYMOON FEST
Luogo: Chiosco Clandestino, Parco Vittoria, Musile di Piave – VENEZIA
Data: Sabato 6 settembre 2025
Orario: Dalle 12:00 alle 23:00
Ingresso gratuito
Cosa portare: Un tappetino, una coperta, qualcosa su cui sedersi – e un cuore aperto.
Resta in contatto:
Sito: www.daymoonfest.com
Instagram: @daymoonfest
Email: daymoonfest@gmail.com
Io dei nomi della line up non ne conosco nemmeno uno (li cercherò per scoprirne qualcosa in più e questo è già bello per me), perché ho una vita sola e non riesco a seguire anche il panorama musicale, però la descrizione che hai fatto del festival è stupenda, quasi commovente. Spero che funzioni bene e che vi possiate scambiare felicità :)
Dice, ma perché non vieni? Sto a Genova, con la vita incasinata di chiunque in questo Paese e poi viaggiare è diventata una cosa da gente ricca, non è che vai più a fare un fine settimana...